De Micheli, un anno da commissario “La ricostruzione è un bene di tutti”
Un anno da commissario per il terremoto. Occasione per trarre un bilancio anche umano letto sui tanti volti che ha incontrato e che le hanno portato all’attenzione le loro storie intinte nella sofferenza. Soprattutto chi, sotto le macerie, ha perduto persone care. Un anno che e’ anche uno spaccato di vita, infatti al di la’ del suo incarico istituzionale l’ha portata a contatto con i tanti che attendono di riprendere il filo di una vita così bruscamente interrotta.
In questi dodici mesi ho incontrato centinaia di persone, ho percorso tra Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo quasi 100mila chilometri. Ho guardato negli occhi le persone che mi sono venute incontro, spesso le ho abbracciate. Ho ascoltato la loro sofferenza, qualche volta il lutto e la disperazione. Ma ho conosciuto anche tanta voglia di ricominciare, la determinazione della speranza. E’ stata un’esperienza incredibile e complicata, la più significativa da quando faccio politica nelle istituzioni del mio Paese. Naturalmente ci sono stati momenti duri, con tanta pressione e difficoltà da affrontare. Ma stare con le persone e cercare di fare qualcosa di utile, come spero di essere riuscita a fare, è l’essenza stessa della politica e di quello per cui mi sono sempre impegnata.
Ricostruzione. Quali sono gli strumenti in campo, quali sono le competenze su cui si è fatto conto e si farà conto per una ricostruzione sicura delle strutture pubbliche colpite dal terremoto? In sostanza, che cosa si fa perchè le nuove costruzioni siano sicure? Esistono sistemi di controllo qualità?
Quello che ha colpito il Centro Italia tra il 2016 e il 2017 è stato il sisma più imponente per gravità ed effetti distruttivi nell’arco di un secolo nel nostro Paese. Un cratere da 8mila chilometri quadrati diviso su quattro regioni, con coinvolte 600mila persone. Di queste ne abbiamo assistite oltre 40mila a vario titolo. Localizzato soprattutto in montagna e collina in un contesto morfologicamente fragile. Basti pensare che il 50 % dei 138 comuni del cratere è situato ad un’altitudine superiore ai 900 metri e spesso sono sparsi su vari centri abitati, di questi 56 hanno meno di mille abitanti.
I governi Renzi e Gentiloni hanno stanziato una quantità di risorse senza precedenti per la ricostruzione, 9,8 miliardi di euro. Abbiamo messo in campo le norme e 62 ordinanze per attuarle puntualmente, che hanno subito una manutenzione costante per adeguarle al quadro complesso e alle richieste dei comuni e del territorio. Stiamo ricostruendo con le migliori tecnologie antisismiche disponibili. Lo sforzo profuso è stato enorme per offrire una prospettiva di concreta di rinascita alle terre colpite.
Sulla scorta di tante esperienze drammatiche vissute quasi in tutte le parti dello stivale a quando regole certe, concrete, prescrittivo sul sistema costruzioni? Se esistono già perche’ non si fanno piu’ cogenti anche attraverso una seria modalità di controllo?
Da quattro anni mi occupo quasi esclusivamente di terremoti e ricostruzioni per conto del governo italiano, prima quelle dell’Abruzzo e l’Emilia, e poi in Centro Italia. Quello della sicurezza è l’insegnamento principale che dobbiamo trarre da un’esperienza sommamente drammatica e tragica come quella di un sisma. L’Italia è un paese con tante aree caratterizzate da elevata sismicità e il tema della manutenzione antisismica di tutti gli edifici pubblici e privati è assolutamente strategico. Mi auguro che anche l’attuale governo ne faccia un caposaldo della sua azione, perchè ne va del futuro di tutti noi. Il sisma bonus oggi è la misura più efficace per convincere i privati, mentre per le scuole sono stati stanziati tre miliardi per la ristrutturazione antisismica.
Si parla ancora di lentezza nella ricostruzione, quanto ha pesato la burocrazia nella lentezza? E si poteva fare in modo diverso?
E’ stato il lavoro più difficile di questi mesi: trovare un equilibrio tra la trasparenza nell’utilizzo dei soldi pubblici, che provengono dalle tasse pagate da tutti gli italiani, e la velocità delle procedure di spesa per far partire i cantieri. Le esperienze del passato ci dicono che quello del Friuli è stato il terremoto con la ricostruzione più rapida, durata dai 7 ai 10 anni. Non so se siamo riusciti a perseguire il migliore equilibrio possibile tra controlli normativi e snellimento delle norme, sicuramente abbiamo fatto molto. Si può certamente fare meglio e mi auguro che il mio successore prosegua in questa opera di ottimizzazione. Ho notato però che tanti di quelli che si indignano per gli eccessi di burocrazia, poi sono i primi a invocare controlli più rigidi quando si scopre qualche irregolarità. Serve equilibrio, appunto.
Il metodo. Per il terremoto dell’Aquila si agì con procedure diverse con le responsabilità accentrate. Pe il sisma del centro Italia è stato scelto un percorso diverso che ha investito di responsabilità le Regioni. Ora un confronto tra le due esperienze è fattibile. Non era meglio semplificare il percorso decisionale?
Oggi tutti – di qualunque parte politica – sostengono che la ricostruzione si deve fare attraverso un grande coinvolgimento dei sindaci, degli enti locali. Il fatto che il territorio del cratere fosse diviso tra quattro Regioni ha costituito un elemento di indubbia complessità. Per questo sono convinta che abbia senso la figura del commissario straordinario, con il suo ruolo di coordinamento per conciliare esigenze talvolta divergenti, per dare un impulso uniforme su territori diversi. Non credo che esista un modello rigido di ricostruzione, il terremoto in Centro Italia ha caratteristiche uniche e ben distinte. Occorre prendere le buone pratiche e adeguarle di volta in volta al contesto, la tecnica amministrativa da sola non basta, serve la politica.
La vicenda del terremoto ha messo a dura prova il rapporto tra i cittadini e il sistema politico. Quale valutazione può trarre su questo delicato tema visto il suo impegno sul campo?
Io ho trovato tanta “richiesta” di Stato durante i miei viaggi sulle zone terremotate. Ho avuto il privilegio di accompagnare per due volte il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha avuto un’accoglienza molto calorosa. Il terremoto e la sua ricostruzione sono una priorità di tutti, non solo di una parte politica. In questi mesi ho cercato di tenere fuori il sisma dalla campagna elettorale, e ho mantenuto il mio incarico anche con un governo che non è certamente il mio. Un segnale importante di unità. Vorrei lasciare in eredità questa impostazione fatta di confronto costante e di dedizione al bene comune, al di sopra delle divisioni partitiche.
Quando capita un evento di tale portata, con un’intera porzione d’Italia sotto le macerie diventa impossibile tenere in vita la civitas di cui la comunità di cittadini rappresenta la parte importante. Che strumenti può mettere in campo uno Stato se i cittadini sono costretti ad abbandonare i loro paesi e sono tentati di ricostruire la loro vita altrove?
Fin dall’inizio abbiamo operato per ricostruire non solo gli edifici, ma anche le comunità. Non solo per riparare i danni materiali, ma anche quelli sociali. Il primo obiettivo è stato far tornare i residenti nei rispettivi paesi, per evitare lo sradicamento e lo spopolamento, già grave prima del sisma. Per questo sono stare realizzate le tanto bistrattate “casette”, le soluzioni abitative di emergenza. Tuttavia soltanto ricostruendo case vere e permanenti si potrà dare un futuro a chi ci risiede. Inoltre abbiamo mantenuto nel cratere oltre 500 attività produttive e ricostruito le stalle. Sono il lavoro e la fiducia a tenere in vita la comunità. Perché per tornare a vivere in quelle zone, su quelle montagne bellissime ma anche per tanti versi problematiche, occorre farlo per scelta. E la fiducia si alimenta ogni giorno operando con responsabilità, dimostrando che la ricostruzione è possibile.
Le zone appenniniche, dette aree interne, sono considerate a rischio occupazione e sviluppo, e anche quelle del Centro Italia lo sono. Il terremoto ha contribuito a peggiorare queste difficoltà? Le azioni messe in campo quanto hanno contribuito a frenare una desertificazione dei piccoli centri che gli amministratori di quelle zone tanto temevano?
Ci sono tante affinità tra le nostre montagne piacentine e quelle colpite dal sisma in Centro Italia. La lotta allo spopolamento riguarda vaste porzioni del nostro paese, attraverso la creazione di condizioni economiche e di sviluppo in grado di garantire una prospettiva. Invertendo una tendenza inesorabile all’abbandono, che è il presupposto per problemi di dissesto e di natura ambientale sempre più grandi. Io credo che serva un grande piano nazionale di intervento per le cosiddette aree interne: dobbiamo rendere conveniente tornare, vivere, lavorare e fare impresa sulle nostre montagne e colline, è un obiettivo strategico del nostro Paese.
Sistemate le strutture pubbliche qual è lo stato dell’arte per le abitazioni private, per i centri storici che talvolta sono stati colpiti tanto da non poter più essere abitati?
La ricostruzione privata è partita e sta accelerando. C’è un trend indubbiamente positivo: abbiamo più di 2mila cantieri privati aperti, più di 400 conclusi. Ma ora che le norme ci sono, la priorità è prorogare l’impiego dei 700 tecnici che stanno operando nei comuni per il disbrigo delle pratiche e delle domande, la prima azione che il nuovo commissario dovrà intraprendere.
Infine un consiglio e due parole a chi verrà dopo di lei…
Ascoltare con umiltà, condividere e poi decidere senza paura. E poi trascorrere tanto tempo nel cratere tra le persone. Combattere perché la ricostruzione non sia dimenticata. Questo lavoro – così come altri al servizio del Paese – si fa per amore e con amore. Non ci sono applausi da prendere ma l’affetto delle persone a cui hai risolto un problema vale molto, molto di più.
(intervista a cura di Antonella Lenti uscita sul quotidiano “Libertà” il 12 settembre)